la critica
Armand Silvestre in Prefazione a «Galleria Durand-Ruel, raccolta di stampe»
Parigi, Durand-Ruel, 1873
E questo ci porta a parlare di un gruppo di artisti ancor più strettamente contemporanei, essendo tutti giovani, che molto coraggiosamente si è deciso di ospitare con numerosi lavori in questa galleria consacrata a nomi tanto celebri e autorevoli. Dopo tutto, questo coraggio non è che imparzialità e onore di aver accolto una delle più grandi speranze dell’arte moderna; e merita di essere ripagato, un giorno. A prima vista, si distingue a fatica ciò che differenzia la pittura di Monet da quella di Sisley, e lo stile di quest’ultimo da quello di Pissarro. Con un po’ di studio apprenderete presto che Monet è il più abile e audace, Sisley il più armonioso e timido, Pissarro il più realista e naïf. Ma sono dettagli. Quello che è certo è che la pittura di questi tre paesaggisti non ricorda in niente quella dei grandi maestri di cui ci siamo occupati; che se ne può rintracciare un antenato, remoto e molto indiretto, in Manet; che si afferma con una convinzione e una potenza tali, da imporci il dovere di prenderla in considerazione e di definirne quello che chiameremo, se siete d’accordo, il suo fianco scoperto.
Ciò che colpisce, al primo sguardo, è la carezza che l’occhio ne ricava, – è prima di ogni altra cosa armoniosa. Ciò che la caratterizza poi è la semplicità dell’effetto armonico: si scopre presto, in effetti, che il suo segreto sta tutto in un’osservazione molto accurata ed esatta delle relazioni dei colori tra loro. È, in realtà, la gamma ricostruita in seguito al lavoro dei grandi coloristi di questo secolo, una sorta di opera analitica, ma che non cambia la tavolozza, come si potrebbe pensare di primo acchito, in un banale strumento a percussione. Poiché il senso di queste relazioni, nella loro più esatta dimensione, è un dono particolare e più precisamente il dono del pittore. L’arte del paesaggio non corre alcun rischio di sembrare volgare con questo tipo di ricerca, ma ne riceverà delle qualità che, pur essendo elementari, nondimeno sono preziose. Quando saranno stati cacciati dal coro tutti coloro che sono stonati, suppongo che nessuno se ne dispiacerà: ci sarà più spazio per quelli con la voce adatta, e il trio di cui parlo mi sembra avere come merito principale quello di volgarizzare l’uso del diapason.
É Monet che, per la scelta dei motivi, tradisce più di tutti le sue preoccupazioni in questo senso. Egli ama giustapporre, su acque lievemente agitate, i riflessi multicolori del sole al tramonto, di barche variopinte, della luna cangiante. Dei toni metallici dovuti alla lucentezza del fiume che sciaborda attraverso piccole superfici unite, scintillano sulle sue tele, e l’immagine del fiume vi trema sopra con le case che si stagliano come in quel gioco infantile in cui gli oggetti si ricompongono a pezzi. Questo effetto, di un’autenticità assoluta e che è stato preso in prestito dalle immagini giapponesi, incanta così fortemente la giovane scuola che essa vi ritorna a ogni piè sospinto. Ma l’elemento di novità che essa apporta conta di più di queste puerilità. Gli interni del villaggio di Pissarro sono un esempio molto più complesso dei risultati che si possono attendere. Li esauriranno – loro? – Assolutamente no, poiché nessuno sa chi poserà l’ultima pietra che ciascuno appone al grande edificio. Questa incertezza costituisce, nelle arti, una solidarietà eccezionale. L’essenziale è fare ognuno la propria parte, ed è ciò che abbiamo cercato di fare.
Ciò che sembra dover accelerare il successo di questi nuovi arrivati è che i loro quadri sono dipinti con una gamma particolarmente vivace. Una luce chiara li inonda, e tutto qui è gaiezza è limpidezza, feste primaverili, sere dorate o meli in fiore. – Ancora un’ispirazione dal Giappone. – Le loro tele, poco cariche e di dimensioni modeste, aprono, negli scenari che rappresentano, delle finestre sulla campagna gioiosa, sul fiume carico di barche sfuggenti, sul cielo rigato da vapori leggeri, sulla vita all’esterno splendente e piena di fascino. Il sogno le attraversa e, completamente intriso di esse, s’invola verso i paesaggi amati in un modo che indubbiamente rende gli aspetti reali più avvincenti. È un’arte allo stesso tempo godibile e autentica la loro. Una mosca bianca, non credete?
Louis Leroy, in Le Chiarivari, 25 aprile 1874"L'esposizione impressionista"
Oh, fu davvero una giornata tremenda quella in cui osai recarmi alla prima mostra [degli impressionisti] sul Boulevard des Capucines assieme a Joseph Vincent, paesaggista, allievo di Bertin, premiato sotto diversi governi.
L'imprudente era andato lì senza pensarci, credeva di vedere della pittura come se ne vede dovunque, buona e cattiva, più cattiva che buona, ma che non attentasse ai buoni costumi artistici, al culto della forma, al rispetto dei maestri. Ah, la forma. Ah, i maestri. Non ne abbiamo più bisogno, mio povero amico! Tutto questo è cambiato.
[...] Il poveretto ansava, sragionando così, pacatamente, e nulla poteva farmi prevedere il penoso incidente che avrebbe provocato la sua visita a quella mostra.
Sopportò persino, senza prendersela di più, la vista delle Barche da pesca che escono dal porto di Le Havre di Monet, forse perché lo strappai a quella pericolosa contemplazione prima che le deleterie figurine in primo piano riuscissero a produrre il loro effetto.
Ebbi purtroppo l'imprudenza di lasciarlo troppo a lungo dinanzi al Boulevard des Capucines, pure di Monet.
"Ah, ah!" ghignò "questo sì che è riuscito. Eccola qui l'impressione, o altrimenti non capisco nulla; vogliate solo dirmi che cosa rappresentano quelle striscioline nere in basso". "Ma" risposi "sono persone che passeggiano". "Sicché, quando passeggio per il Boulevard des Capucines appaio così? Fulmini di Giove: ma, insomma, vi prendete forse gioco di me? [...]" Gettai un'occhiata all'allievo di Bertin, il cui volto era adesso di un rosso cupo. Ebbi il presentimento di una catastrofe imminente; doveva essere Monet a dargli il colpo finale. "Ah, eccolo, eccolo!" esclamò dinanzi al n. 98. "Che cosa rappresenta questa tela? Guardate il catalogo".
"Impressione, sole nascente". "Impressione, ne ero sicuro. Ci dev'essere dell'impressione, là dentro. E che libertà, che disinvoltura nell'esecuzione! La carta da parati allo stato embrionale è ancor più curata di questo dipinto".
"Ma che avrebbero detto Bidault, Boisselier, Bertin, dinanzi a questa tela importante?"
"Non venitemi a parlare di quegli schifosi pittorucoli!" urlò il povero Vincent.
L'infelice rinnegava i suoi dèi [...].
Il vaso, alla fine, traboccò. Il cervello classico del vecchio Vincent, assalito da troppe parti insieme, venne sconvolto del tutto.
Si fermò dinanzi al custode che vigila su tutti quei tesori e, prendendolo per un ritratto, cominciò a farne una critica alquanto rigorosa: "Ma quanto è brutto!" fece, alzando le spalle. "In faccia ha due occhi, un naso e una bocca. Non sono di sicuro gli impressionisti che si sarebbero lasciati andare in tal modo al particolare. Con tutte le cose inutili che il pittore ha sprecato in questa faccia, Monet avrebbe fatto almeno venti custodi".
"Se circolaste un poco?" gli disse il ritratto. "Lo sentite? Non gli manca neppure la parola. Quel pedante che lo ha dipinto ce ne deve aver messo di tempo per farlo!" E per dare al suo aspetto tutta la serietà che occorreva, il vecchio Vincent si mise a ballare la danza dello scotennatore davanti al guardiano, gridando con voce strozzata: "Hugh! lo sono nell'impressionismo in marcia, la spatola vendicatrice. Boulevard des Capucines di Monet, la Casa dell'impiccato e l'Olympia moderna di Cézanne! Hugh! Hugh! Hugh".
Jules Castagnary, in Le Siecle, 29 aprile 1874
"L'esposizione sul boulevars des capucines"
Monet ha dei tocchi appassionati meravigliosamente efficaci. A dire il vero non sono riuscito a trovare la posizione ottimale da cui osservare il suo Boulevard des Capucines; penso che avrei dovuto attraversare la strada ed ammirare il dipinto da dietro le finestre della casa di fronte. Ma le nature morte della sua Colazione sull'erba sono superbe ed audaci e la sua alba nella nebbia soffusa riecheggia le note della sveglia mattutina.
Il consenso che unisce questi pittori facendo di loro, in quest'epoca di disintegrazione, una forza collettiva è la loro determinazione a non cercare un'esatta rappresentazione della realtà quanto piuttosto a fermarsi all'immagine generale. Una volta catturata e fissata l'impressione, essi dichiarano di aver fatto la loro parte. L'epiteto di giapponesi, assegnato loro in un primo momento. non aveva alcun senso. Se volessimo definirli, dovremmo coniare una nuova parola: impressionisti. Sono impressionisti nella misura in cui non rappresentano tanto il paesaggio quanto la sensazione in loro evocata dal paesaggio stesso. E proprio questo termine è entrato a far parte del loro linguaggio: non paesaggio ma impressione è il titolo dato nel catalogo all'alba di Monet. Da questo punto di vista essi hanno lasciato alle loro spalle la realtà per entrare nel regno del puro idealismo.
Quindi la differenza essenziale tra gli impressionisti ed i loro predecessori è una questione di qualcosa in più e di qualcosa in meno nell'opera finita. L'oggetto da rappresentare è lo stesso, ma i mezzi per tradurlo in immagine sono modificati, alterati, a detta di alcuni.
È questo l'intento degli impressionisti.
Ernest Chesneau, in Paris-Journal, 7 maggio 1874
"Girando per il Salon"
Be': in questa esposizione ho trovato più o meno una dozzina di opere che effettivamente aprono prospettive inattese sulla varietà di effetti realistici che si possono ottenere con il colore. Per esempio, mai prima la luce mattutina del Nord era stata resa con quel potere d'illusione espresso dal dipinto di Monet [sic] dal titolo Colazione sull'erba. La sbalorditiva vivacità della strada animata, la folla brulicante sui marciapiedi, le automobili sulla carreggiata, gli alberi tremanti del boulevard tra polvere e luce: mai, mai un movimento elusivo, fugace, istantaneo, è stato catturato e fissato nella sua straordinaria fluidità come in questo meraviglioso, eccellente schizzo che Monet [sic] ha intitolato Boulevard des Capucines. Da una certa distanza, in questo fluire di vita, in questo scintillio di grandi ombre e grandi luci reso più drammatico da ombre ancor più profonde e luci ancor più vivide, noi salutiamo un capolavoro. Ci avviciniamo, e tutto svanisce; resta soltanto un insieme caotico, come di indecifrabili raschiature di tavolozza.
Ovviamente, questa non è l'ultima parola dell'arte. e neppure di quest'arte particolare. Egli deve raggiungere il punto in cui lo schizzo diventa un'opera compiuta. Ma quali squilli di tromba per coloro che hanno orecchie per sentire, e come echeggiano nel futuro!
Leon de Lora, in Le Gaulois, 18 aprile 1874
"Exposition libre des peintres"
Emile Cardon, in La Presse, 29 aprile 1874
"L'exposition des rèvoltès"
Jean Prouvaire, in Le Rappel, 20 aprile 1874
"l'Exposition du Boulevard des Capucines"
Philippe Burty, la Republique Francaise, 16 aprile 1874
"Chronique du Jour"
NOTA: tutti gli articoli sopra citati sono in nostro possesso in forma di fotocopia (tratti dalla BNF).